A DUBLINO IL CARCERE KILMAINHAM GAOL
Il Kilmainham Gaol ha aperto i battenti nel 1796, come prigione della contea di Dublino e rinchiuso, in momenti storici cruciali, molti dei personaggi chiave nella lotta per l’indipendenza Irlandese.
Numerosi sono i riferimenti, anche cinematografici, che la cultura contemporanea ha dedicato ai conflitti, alle vittime, alle ingiustizie di cui le mura di questo carcere sono state testimoni.
“Nel Nome del Padre” – In the Name of the Father, nella versione originale, tratto dal romanzo autobiografico “Proved Innocent” del 1994 – è la storia di Gerry Colon, uno dei Guildford Four (tre ragazzi nordirlandesi e una ragazza inglese accusati di aver causato l’esplosione di una bomba in un pub di Guildford).
Prima di andare in Irlanda è una delle pellicole che, nei percorsi tematici in cui ti racconterò questa bellissima isola, consiglio caldamente di guardare…e osservare.
Per approfondire Dublino >>> mini guida.
KILMAINHAM GAOL: STORIE DI UOMINI, DONNE E BAMBINI
La storia di questa prigione ha incrociato il destino di migliaia di persone, comuni per lo più: uomini, donne e bambini.
Quando entrò in funzione era sinonimo di grande modernità. Nell’ala occidentale, di forma rettangolare, soprattutto nei primi anni, i debitori erano oltre la metà della popolazione carceraria. Accattonaggio, furto, aggressione, prostituzione e ubriachezza i reati più registrati in un’epoca in cui le condizioni di vita erano incredibilmente dure.
Fino alla metà dell’800 l’edificio non aveva riscaldamento – una candela doveva bastare ad illuminare la cella e “riparare dal freddo” per almeno una settimana – né vetri alle finestre.
Le celle, concepite per ospitare un detenuto, arrivavano a contenere 5 o più persone. Tutto ciò di cui disponevano era la candela, un secchio e latte, miele, farina d’avena e zuppa per sfamarsi. Negli anni in cui la grande carestia ha prodotto circa un milione di vittime per l’assenza di cibo, il Kilmainham Gaol per molti disperati della zona, anche bambini, rappresentava l’unica possibilità di sopravvivenza: qualcosa da mettere sotto i denti e un tetto sulla testa, sebbene esposti ai gelidi venti invernali e all’umidità che impregnava la pietra semi porosa delle pareti di celle e corridoi. Purtroppo i rei recidivi venivano trattenuti e spediti nelle colonie penali in Australia dove già arrivare vivi era un vero miracolo. L’assenza d’igiene, la debolezza e le condizioni disumane in cui versavano i detenuti erano inevitabile causa di malattie.

UNA STRETTA AL CUORE
Mentre la nostra guida, un’energica e appassionata giovane dubliner dai lunghi capelli rossi, ci racconta che fosse convinzione diffusa quella di riuscire a rendere salubre un ambiente lasciando semplicemente che il vento portasse via il fetore, sento una stretta al cuore.
In una normale giornata di pioggia, in coda al gruppetto, ascoltando e ascoltandomi, mentre sono appoggiata ad uno di quei muri freddi, scuri, scrostati, comincio a realizzare che la gente d’Irlanda è il risultato di una selezione naturale spietata, a cui la storia con le sue sfide e la tenacia smisurata delle persone attaccate alla vita, alla propria terra e al diritto di godere di entrambe hanno “contribuito con i propri versi”.

KILMAINHAM GAOL: L’ALA ORIENTALE E IL PRINCIPIO DELLE 3 “S”
L’ala orientale, dotata di 96 celle, fu inaugurata nel 1862 e ha un colpo d’occhio “spettacolare”.

Durante l’epoca vittoriana si riteneva comunemente che l’architettura carceraria avesse un ruolo fondamentale nella riabilitazione dei detenuti. La gestione della struttura, infatti, si basava sul principio delle tre “S”: supervisione, silenzio e separazione. I prigionieri non potevano comunicare tra loro e trascorrevano la maggior parte del tempo da soli, nelle celle. Le autorità carcerarie auspicavano che impiegassero il loro tempo leggendo la Bibbia, in contemplazione, e si pentissero dei propri crimini.

Già a partire dal 1790 la libertà dal dominio britannico e l‘instaurazione di una repubblica divenne la forma di indipendenza politica fortemente voluta dai nazionalisti irlandesi radicali. I nazionalisti più moderati aspiravano, invece, all’‘Home Rule’, ovvero all’indipendenza costituzionale per l’Irlanda nell’ambito dell’ Impero di Sua Maestà.
Tuttavia, in quest’ottica, sono i primi decenni del 1900 ad essere stati travagliati e torturati con rivolte e vere e proprie guerre – la Rivolta di Pasqua (1916), la guerra d’indipendenza (1919-1921) e la guerra civile (1922-1924) – durante le quali la disperazione della miseria ha lasciato il passo al sogno di libertà e d’indipendenza dal governo britannico.
Politica, odio, repressione, rabbia, potere e ingiustizia, discriminazione, intelletto e speranza hanno segnato i destini dei prigionieri, principalmente politici, del Kilmainham Gaol. Piccole targhette sopra le porte delle celle, sono i nomi dei reclusi in attesa del processo o dei condannati in attesa dell’esecuzione nel cortile circondato da un muro massiccio, alto.
Poche lettere che introducono alla storia contemporanea d’Irlanda.


EMOZIONE
Dublino è stato il punto di partenza del nostro on the road di 12 giorni nella metà settentrionale dell’isola. All’arrivo non immaginavo quanto, giorno dopo giorno, mi avrebbe arricchito. Ho osservato, e ascoltato, e cercato di individuare un filo conduttore che legasse tutto, come in un racconto, giungendo a questa personale conclusione.
La natura imponente, non sempre generosa, è una risorsa che hanno saputo rendere produttiva.
La famiglia, gli affetti, vissuti con passione, sono la forza alternativa all’individualismo imperante.
Il Gaelico, la lingua che ancora molti giovani parlano, è metafora d’identità consapevole.
Voglio congedarmi con lo stesso augurio che la nostra guida ha pronunciato in gaelico nel cortile delle esecuzioni, con i capelli ribelli e disordinati sotto il cappuccio, a proteggersi dall’acqua, gli occhi azzurri fieri e orgogliosi, lo sguardo dritto su di noi e voce decisa:
“Adesso siete liberi di lasciare questo posto. Uscite e onorate la vostra vita”

LEGGI QUI LA GUIDA DI IRLANDA DI @ESTEROFILI E CONSULTA IL DIARIO DI VIAGGIO CHE ABBIAMO PUBBLICATO SU @IRLANDACHEPASSIONE, IL PORTALE ITALIANO DEDICATO ALL’IRLANDA
L’ho visitato anche io a Dublino: è davvero un luogo suggestivo, in alcuni momenti anche troppo!!
È vero Lucia ma, almeno a me succede così, quando un luogo suscita un’emozione forte, positiva o negativa che sia, vale la pena. Sempre!
Sono stata due volte a Dublino, ed entrambe le volte ho visitato questo carcere. La prima volta quasi 20anni fa, in gita con la scuola, con una guida dedicata che ci aveva spiegato tutta la storia di quel posto. Inquietante, ricordo ancora che avevo i brividi! Sono tornata 3 anni fa e sono tornata anche lì, abbiamo seguito una delle guide del luogo e di nuovo i brividi seguendo i racconti di quel luogo. Grazie per il post, davvero interessante!
Beh, Chiara, intanto bravi i tuoi insegnanti, per aver inserito in un viaggio scolastico una meta così particolare e, allo stesso tempo, tra le più istruttive sulla storia del popolo irlandese.
E poi se ci sei voluta tornare significa che, per quanto la verità possa rabbrividire, capire e conoscere, rendersi conto ed essere empatico è costruttivo…
Un luogo decisamente particolare. Non so se l’avrei scelto come meta. Al di la della architettura che è decisamente affascinante, questo luogo mi riporta a tanta sofferenza .
Mariacarla, forse questo luogo ha davvero conosciuto solo sofferenza e, forse, visitarlo di persona è meno impressionante che immaginarlo sulle parole di chi ne è stato colpito. Forse…
Sicuramente un luogo forte e particolare da inserire in un eventuale itinerario in Irlanda…ammetto di aver visto “Nel nome del Padre” parecchi anni fa ma non me lo ricordo per niente, devo rivederlo per fare un bel ripasso!
Chiara anche io me li sono riguardati, avevo ricordi troppo sbiaditi. Tra l’altro ‘Nel Nome del Padre’ ha una colonna sonora bellissima, sa proprio d’Irlanda!
C’è da riflettere sull’intero post, ma la frase finale dovrebbe essere un punto d’inizio (o di ripresa) per tutti noi. Soprattutto per chi non comprende l’importanza di vivere con onore la propria vita. Che è un concetto ampio, profondo.
Penso a quelle anime che vedevano il carcere come libertà, per fuggire all’oppressione di una vita di stenti. E poi penso a chi in carcere (o peggio) è finito per conquistare una libertà politica e religiosa, che ancora non è completamente tale.
Affascinante e spaventosa la storia d’Irlanda, che ha forgiato le persone nella storia e negli eventi. Mi permetto una riflessione Ester, spero mi perdonerai. Noi che spesso prediligiamo le lingue straniere o gli “inglesismi” (io stessa lo faccio), dovremmo ricordare come la popolazione irlandese ed anche quella scozzese, hanno versato sangue per salvare l’idioma gaelico, portandolo con difficoltà fino al presente.
Come sempre, post molto interessante e ricco di spunti di riflessione. Complimenti!
Claudia B.
Claudia non ti perdono…ti ringrazio piuttosto 😁😁😁
Mi sono emozionata, anzi commossa quando una giovane così positivamente fiera ha pronunciato quella frase, e poi l’ha tradotta, ho capito che il gaelico, come ho scritto, è sinonimo d’identità consapevole ed è vivo. E nel corso del viaggio ho avuto la fortuna di vivere incontri davvero indimenticabili, ne parlerò prossimamente.
La circostanza, l’ambiente e la storia hanno reso l’invito a non sprecare la vita particolarmente efficace.
Grazie cara!
A me mettono i brividi questi posti pensando alle condizioni disumane nelle quali vivevano i prigionieri. Sicuramente colpevoli di crimini ma non per questo dovevano patire il freddo, la solitudine, la fame. Pensare che molti lo preferissero alla libertà pur di avere un tetto e del cibo fa capire come i nostri avi (nostri perché le sofferenze sono comuni a tutti i popoli) abbiano dovuto patire tante sofferenze.
“Le sofferenze sono comuni a tutti i popoli” concordo, Stefania. Mentre ascoltavo i racconti della guida, con un pochino di difficoltà perché non sono abituata all’accento irlandese 😓, non riuscivo nemmeno ad immaginare la disperazione che dovesse spingere le persone a sperare di finire lì dentro per poter avere del cibo. La fame che ha costretto circa 2 milioni di persone ad emigrare e che ha prodotto più di un milione di vittime in Irlanda è uno shock il cui spettro non è ancora scomparso. Ci sono molti parchi a tema, bellissimi, che raccontano quel periodo. Ne scriverò presto…sarà interessante ma divertente 😉
È brutto dirlo, ma lo trovo un luogo affascinante, da vedere. L’interno somiglia molto al carcere riconvertito in hotel che si trova a Helsinki, nella penisola di Katajanokka. Chissà se la pensavano allo stesso modo riguardo l’architettura delle carceri!
Chissà…
Hai centrato il punto, Anna. Questo è un luogo che non lascia indifferenti e che trasuda fascino, basti pensare al ruolo che ha avuto nella lotta per l’indipendenza d’Irlanda così recente. Una visita di poco più di un’ora che chiarisce tanti aspetti del carattere Irish!
À proposito del carcere di Helsinki, anche a Belfast ce n’è uno trasformato in ristorante…forse un po’ inquietante!
Non so se riuscirei mai a considerare un carcere, per quanto in disuso come tappa di un viaggio, ma ti ringrazio per avermelo fatto conoscere (così come il libro è il film)..
Bella la frase di comiato, immagino sia stata un mantra per coloro che se la sentivano dire al momento del loro rilascio!
È possibile…
Mi rendo conto che non sia un luogo come tanti altri, è una meta interessante, certo non di svago, per qualcuno magari un po’ inquietante, ma vale davvero la pena! Potrebbe essere una novità da inserire non un tuo prossimo programma di viaggio 😉
Ma ciao!! Sono in Irlanda adesso e ho seguito un po’ il tuo viaggio…peccato che questa tappa non sono riuscita ad inserirla!
Sara, visto che stai lavorando in Irlanda puoi approfittare per vedere un sacco di cose 😉 ti auguro di vevere una bellissima esperienza!!!